maggiore attenzione all'ambiente ed alla sicurezza; tuttavia, anche in queste miniere, i padroni non si attenevano all'osservanza di quanto previsto dal regolamento di polizia mineraria pur in presenza dei periodici controlli da parte del corpo delle miniere.

Per quanto riguarda il salario vi era una grossa inadeguatezza rispetto alle esigenze della vita e, quasi mai, venivano rispettate le paghe previste dalla legge.

Queste situazioni e queste condizioni venivano subite dai minatori e dalle loro famiglie in modo incondizionato, pena il licenziamento immediato. da questa situazione nacquero le prime "leghe dei zolfatari", la partecipazione era totale e portarono a grandi, epiche e lunghe lotte. Il lungo sciopero del 1952 portò alla occupazione delle miniere che durò 63 giorni consecutivi.

5. La partecipazione delle donne alle lotte dei tossenti

Immenso e significativo è stato il contributo dato dalle donne dei minatori, "le donne dei tossenti" come appunto venivano chiamate, quelle donne che avevano nei vicoli bui delle mine mariti e spesso anche i figli. Esse furono massicciamente e costantemente a fianco dei loro uomini e dei loro "carusi".

Mentre i loro uomini scioperavano all'interno della miniera, esse se ne stavano nei piazzali della stessa per tutta la giornata, a testimonianza di una volontà e di una fede umana e politica che altamente e sicuramente contribuivano alla soluzione dei tanti problemi cui si trovavano di fronte. Il ruolo delle donne dei minatori in città come nei comuni della provincia è stato eccezionale. Negli scioperi, erano loro il nerbo, la forza decisiva. Tanto che, quando la situazione si faceva più difficile, erano i minatori per primi a rivendicarne la presenza. "I fimmini avemu a chiamari" dicevano. Perchè le loro donne avrebbero dato certamente un altro tono alle manifestazioni di lotta.

Erano infatti le loro mogli e le madri che scendevano in campo, allargavano il significato della lotta dei minatori, rompendone l'isolamento dal resto dell'opinione pubblica. Erano le donne che andavano in giro a parlare con la gente, con i bottegai, gli artigiani, a chiedere solidarietà per le lotte dei loro uomini anche al vescovo ed al prefetto.

Tutto questo è avvenuto solo alcuni decenni orsono anche se i siciliani stanno dimenticando, rimovendo dal loro passato la dolorosa età dello zolfo. Un'età in cui sopravvivere significava morire lentamente, giorno dopo giorno per malattie polmonari (silicosi) per frane o per scoppi improvvisi di grisou, lontano dalla luce del sole.

Ora che le solfare sono state chiuse, e già si apprestano a diventare luoghi di memoria, dopo essere state per secoli luoghi di sfruttamento e speranza, ora queste saranno consegnate irrevocabilmente alla storia.


  

        fronte di lavorazione ed asportazione del minerale. Archivio R.Carlini

6. Quale futuro per le zolfare

Le future generazioni di siciliani e non, che scenderanno nel cuore dell'isola avranno bisogno di guide, cammineranno dentro cunicoli puliti e luminosi, si fermeranno a leggere cartelli esplicativi, sui quali -con asettico linguaggio- qualche burocrate dello stato avrà illustrato metodi di coltivazione dello zolfo, statistiche, macchinari, condizioni di vita dentro la solfara. Sembreranno lontani l'affanno dei "carusi", dei "pirriaturi", dei vagonari, delle tragedie che vi si sono consumate.

Questo proveranno certo qualche emozione, ma nessun brivido se non quelli prodotti dai condizionatori d'aria. Perchè inevitabilmente, come ha scritto Pirandello, solo le cose in movimento restano in vita, le cose dinamiche, quelle che pulsano, che si macerano dentro. Ingabbiate in una forma esse rischiano di diventare cose morte. La regola vale soprattutto per i musei, pensati come sterili contenitori di cimeli.

continua