vissuto quegli attimi, e solo chi ha dentro di se la forza di tramandare qualsiasi storia, qualsiasi attrezzo minerario, qualsiasi fotografia alle generazioni che verranno, potrà dire "anch'io ho fatto qualcosa per non far dimenticare".

Noi che abbiamo vissuto, sebbene di riflesso qualche attimo di vita delle miniere siciliane, abbiamo ricordi incancellabili. Il colore giallo dello zolfo, il buio delle gallerie, il colore delle sofferenze  e dei lutti. Questa, appunto, è la storia dello zolfo in Sicilia.

Storie dello zolfo in Sicilia, "Nfernu veru" come si intitolava un libro di qualche anno fa'. Ma c'era, in quest'inferno, l'uomo nuovo dell'isola.

Inferno dunque: accostamento non casuale, se si tiene conto del fatto che esso ha rappresentato una costante simbolica nel linguaggio dei minatori e di quanti, intellettuali e scrittori, si sono avvicinati al mondo delle solfare.

L'inferno nella tradizione occidentale fu un continuo ardere di ragia e di zolfo, nei cui vapori s'annidava pericolosamente il diavolo.

Nelle solfare, la vita era sempre la stessa; il trasporto a spalla del minerale, continuava ad essere affidato ai bambini ed alle donne. Scarsa era la prevenzione degli incidenti. Ma oramai si era alla fine. Ripercorriamo brevemente l'ultima tappa che porterà alla chiusura definitiva delle zolfiere. L'11 gennaio 1963, dopo le dure lotte dei minatori per la pubblicizzazione delle solfare, nasce ufficialmente l'Ente Minerale Siciliano. L'articolo 1. della legge istitutiva recitava:

"... esso ha lo scopo di promuovere la ricerca, la coltivazione ed il collocamento commerciale delle risorse minerarie esistenti nel territorio della regione ed in particolare degli idrocarburi liquidi e gassosi, dello zolfo, dei sali potassici...".

Nell'anno 1984 anche l'ultima miniera di Villarosa, dopo la Giumentaro, viene chiusa. Gli operai mandati in altre solfare a fare prepensionamento. In questo decennio si sono spenti gli ultimi fumi delle solfare, che vengono così affidate alla storia. Con il ricordo delle sue morti, con il ricordo degli sfruttamenti, con il ricordo del calvario di migliaia di piccoli "carusi", infanzia senza infanzia, nei cunicoli bui dell'isola di Sicilia. Ma anche con le sue storie umane, con le sue malinconie, con l'orgoglio e la dignità degli uomini che silenziosamente o innalzando le bandiere rosse delle rivendicazioni sindacali, hanno fatto della Sicilia un'isola degna del mondo.

Oggi le miniere sono definitivamente morte e con esse è morto un sogno lungo tre secoli. Ora che le solfatare sono state chiuse e già si apprestano a diventare luoghi di memoria, dopo essere state luoghi di sfruttamento e di speranza per migliaia di persone, ora dunque queste, sono consegnate inequivocabilmente alla storia.

Nel secolo scorso centinaia furono le miniere che vennero sfruttate, di molte si possono osservare ancora le baracche, i pozzi, i castelletti, le lavorazioni, le discariche, calcarelle, calcheroni e forni Gill.

Di molte altre non si hanno più notizie; in particolare quelle che furono aperte e lavorate a livello familiare. Nuclei familiari interi che scendevano nelle gallerie, sotto le viscere della terra con attrezzature di fortuna e senza alcuna misura di sicurezza, i "carusi" che trasportavano nudi nelle gallerie ai calcaroni e nelle calcarelle il frutto del lavoro dei padri o dei nonni, al buio, o con radi lumi delle candele.

Un lavoro per un tozzo di pane che, giorno dopo giorno, aveva il sapore amaro di un duro sacrificio al limite della sopportazione umana e che, in ogni momento, si poteva vestire del doloroso nero colore della morte. Altissimi erano gli incidenti, molti i morti per frane o scoppi di grisou. Ma lo sfruttamento artigianale era l'unico mezzo di sostentamento per decine di migliaia di persone. Era l'unico sostentamento per una regione dove tutto era arretrato.

Le arretratezze tecniche ed un ambiente di lavoro malsano causavano condizioni di lavoro quasi disumane e, in questo quadro, veniva fuori soprat

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