Il Natale era la festa di tutti, ma la ricorrenza, la festa propria dei contadini era il Carnevale, forse legato ad antichissimi riti magici.

I giovani contadini cominciavano a prepararsi già molti mesi prima. Si riunivano in gruppi di almeno quindici persone, tredici più qualcuno di riserva; si dividevano le parti, stabilivano in linea di massima gli argomenti e si recavano quindi da qualche poeta locale o dei paesi vicini (un gruppo una volta è arrivato sino a Catania!) e facevano verseggiare le caratteristiche dei dodici mesi dell'anno con particolare riferimento al tempo e ai lavori stagionali.

Il giorno della festa badavano i cavalli nel modo più elegante, si truccavano e vestivano secondo il mese che interpretavano, e tutti insieme percorrevano le vie del paese. (Ad es. Giugno era seminudo con la falce in pugno, Gennaio e Febbraio tutti intabarrati e coperti da pelli e pellicce, ecc.). In alcuni punti prestabiliti, dove c'era abbastanza spazio e numeroso pubblico, si fermavano e recitavano "LI DUDICI MISI DI L 'ANNU" con una ritmica sicuramente molto antica e molto somigliante alla musicalità dell'esametro latino.



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Era faticosa la vita del contadino ma più dura e pericolosa era quello dello zolfataio

Il lunedì mattina andava a piedi in miniera (ed era più di un'ora di strada!) e ritornava il sabato pomeriggio; portava con se il cibo della settimana: un paio di pani, qualche sarda salata, poche ulive e aglio e cipolla; appena fuori del paese si era levato le scarpe, se le era legate attorno al collo ed aveva fatto tutta la strada a piedi. In miniera gli incidenti di lavoro erano quotidiani e le disgrazie mortali frequentissime. Comprensibile quindi che il sabato pomeriggio lo zolfataio, appena rientrato in paese, cercasse i suoi amici e andasse a sbronzarsi in qualche bettola o in qualche casa privata.



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